La BBC
PRESENTAHAMLET - IL FILM
Intervista a Kenneth Branagh
Il coordinamento - Il finanziamento - La regia - La scena della recita - Il film in 70mm -Essere Amleto
La messa in scena - Gli specchi - Lo scenografo - Il testo - Nota di Russell Jackson
Amleto ha avuto una parte importante nella tua vita, ne hai un interesse passionale?
Amleto è sempre stato un affare irrisolto. Lo vidi quando avevo quindici anni, e ne uscii sopraffatto dall'impressione che mi fece. Sebbene non l'avessi assolutamente capito, ne fui scosso. Sapevo che era una buona storia, una buona storia di spiriti. Quando iniziai a lavorarci sopra come attore, a leggerlo e a vederne altre produzioni, continuai ad avere questa sensazione di essere colpito da una grandiosa opera di poesia. É come un grandioso brano di musica, ci ritorni di continuo, ascoltando altre cose, e continui ad ammirare il fatto che funziona su così tanti livelli. É grande intrattenimento, cattura la tua attenzione, le pagine scorrono e tu vuoi sapere che cosa succede di momento in momento. Io penso, per molte persone, che dia anche delle risposte a questioni più vaste sull'amore, la vita e la morte. E al centro c'è questa storia di rapporti familiari in cui ciascuno si può ritrovare. Come attore e come regista è il più grande genere di canovaccio su cui lavorare. Fa emergere tutto ciò che potenzialmente sai sulla realizzazione di un film o sulla recitazione, e anche sulla vita, e ne restituisce un grande rapporto. Ho raggiunto il punto in cui sono riuscito a rendere i requisiti d'età, e ad apportare quello che sapevo al progetto. Avevo il sogno di poterlo fare, quando avevo quindici anni. Vent'anni dopo ho potuto realizzarlo.
Perché adesso?
A trentacinque anni ho sentito con forza che avevo raggiunto il punto in cui veramente cominci ad avere coscienza della morte, per la prima volta. Così avevo in mente un limite di età in cui sarei stato pronto a portare sullo schermo la realizzazione più piena dell'opera. Tutto il resto sembrò andare a posto da sé, dal genere di persone che volevo coinvolgere, alla esperienza in crescendo che molte persone hanno avuto nel presentare qualcosa che ha molte, molte parole, attraverso un mezzo che dipende da molte, molte immagini. Durante un periodo di sei o sette anni, abbiamo cominciato a sviluppare uno stile che sentivo fosse quello giusto per affrontare qualcosa di così grande e per dire ad un pubblico: 'Senti, lo facciamo tutto e pensiamo che ti piacerà'
Come riuscisti a convincere Hollywood a finanziare una versione cinematografica di un'opera di quattrocento anni fa, che dura quattro ore ed è di Shakespeare?
É incredibilmente difficile farsi finanziare qualsiasi film, e la mia esperienza è che sempre una specie di miracolo che si verifica. É sempre duro con Shakespeare perché ci sono i soliti commenti sul fatto che possa interessare qualcuno. Con Amleto ho avuto il vantaggio di aver fatto due film da Shakespeare e di aver recitato in un altro, e che tutti avevano avuto un ragionevole successo. Ci fu, infine, un'obiezione commerciale per loro nel dire 'Preferiremmo avere un ritorno di denaro', sebbene non così lentamente e non necessariamente con un'opera che era stata fatta molto bene cinque o sei anni prima. In conclusione penso che ci fu una serie di ragioni; una delle quali è che sembra che volessero entrare in affari con me. (Ma quanto tenero è? E quanto infingardo? N.d.T.)
Stranamente, ho scoperto che ciò a cui le compagnie cinematografiche rispondono, è una specie di entusiasmo passionale, una sorta di visione di come il film dovrebbe apparire alla fine, e Dio sa questo è sempre stato quello avevo sempre nutrito per il mio progetto. Alla fine ho supposto che questo era tutto quello sui cui potevano contare, dato che tutto è sempre una lotteria, non esiste una gran formula che dice 'ingaggia la tale star e il film farà soldi', quindi devono riporre la loro fiducia nella passione del singolo cineasta. Mi era chiaro che non avrei voluto dirigere un altro film sinché o se non avessi diretto questo, sebbene non mi aspettassi necessariamente di condividerne l'onere con qualcuno, ma era ciò che sentivo.
Significava che ero pieno di entusiasmo e penso in conclusione che abbiano deciso di cedere alla piccola parte di scienziato pazzo che è in me. Questo va in coppia con l'idea che gli altri film hanno fatto i soldi, e che forse era il momento giusto di farlo.
La regia
Mi piace provare, quando dirigo, per rendere gli attori e la troupe coscienti di certe riprese-base, immagini che sono state nella mia testa per tanto tempo, riguardo al film. O convinco la gente che sono giuste, o se riguardano gli attori e non sono d'accordo, le cambio in accordo con loro. C'è una struttura in questo, che da alla gente il senso del mondo del film. Di solito affronto un film con un cero numero di immagini in mente, certe scene che mi piacerebbe trattare in un modo particolare, e ci provo e ne rendo consapevoli le persone. Per esempio, in questo film, per quanto mi posso ricordare, volevo riprendere la scena di Rosencrantz e Guildenstern, quella in cui arrivano, in modo da dare un'impressione della vita di palazzo. Un impressione di vita dei reali, come si svegliano, chi si occupa di loro, il tipo di informazioni che viene loro passato, piuttosto che una specie di personale di scorta nei corridoi, con i segretari che arrivano e consegnano i giornali o altre cose. Questo doveva emergere da quel tipo di ripresa che alla fine durava probabilmente due minuti e mezzo.
Era una di quelle, poiché avremmo visto ogni traccia che lasciavamo, per cui il pavimento doveva essere piano a sufficienza per permetterci di farlo. Diventò qualcosa in cui, in termini di quantità di riprese, devi stare molto attento a far andare gli attori e la troupe alla stessa velocità. Certe volte devi assicurarti che gli attori seguano la parte tecnica, senza dare nulla se non la resa meccanica, mentre le troupe li prende esattamente e permette quindi loro di cominciare a recitare. Cose come queste diventano un grande esercizio di gruppo. Tutti, se ne sono soddisfatti, lavorano insieme perché è molto motivante. Non ci sono steady cam nel film. Volevo che avesse grazia, che il movimento fisico sembrasse maestoso.
In un certo senso ti abitui a superare il terrore, la paura, l'ansia, quando sei terrorizzato dal fatto che essere in un film e anche dirigerlo in qualche modo ti svuoti. Ma ha anche dei lati positivi perché sei sempre presente e questo può andare bene per l'impianto. Ma alla fine devi solo fidarti di te stesso. Devi fidarti delle persone intorno a te, fidarti dei tuoi colleghi attori, dell'operatore, della gente che sta guardando. Dopo un po' l'atmosfera di un set come questo è tale che se loro sentono che non funziona, tu lo annusi, il linguaggio è differente. Non intendo il fatto che dicano che vada bene o meno, tu lo annusi, se non funziona. Cominci a sviluppare il tuo istinto circa quello che va bene.
Ci sono tre film. Il film che progetti, il film che giri, e il film che monti. Sono tre diversi animali, il che va bene. Devi pianificare tutto e avere il controllo ma accettare che giorno per giorno capitano idee migliori. Improvvisamente la scena che avresti dovuto girare in un grande sala sembra migliore girata in un'altra stanza, e qualcosa che viene realizzato con un unica lunga ripresa continua improvvisamente sembra venire meglio se la giri in tanti piccoli pezzi. Devi essere pronto ad adattarti a questo genere di cose, fidarti che il tuo istinto del giorno sarà buono e non dovrai improvvisamente pensare: "Oh Dio, vorrei averlo fatto come lo immaginavo!". Devi essere molto flessibile, specialmente quando sono immischiati degli attori, i quali, grazie a Dio, hanno le loro idee e la loro immaginazione.
La scena della rappresentazione
La scena della rappresentazione è fondamentale, perché è il momento in cui Amleto ottiene la prova che Claudio ha ucciso suo padre. É piena di tensione, e suspense, così sentivo che avevamo bisogno del massimo risalto. In teatro questa è una scena che può scorrere molto velocemente e in cui i versi che dicono gli attori diventano in realtà molto meno specifici. Nel film, quando Rosemary Harris interpretando la regina dice "Una seconda volta uccido il mio sposo/ quando un secondo marito mi bacia nel letto", si può tagliare su Gertrude, poi sulla reazione di un cortigiano alla reazione di Gertrude, poi di nuovo su Rosencrantz e Guildenstern. Cominci a sentire il modo in cui cambia l'atmosfera, cresce la tensione e la sensazione che la corte stia per esplodere. L'ho sentita come una scena molto forte da trattare cinematograficamente, e la affrontammo determinati a farla risaltare con un gran numero di angolazioni. Nel montaggio abbiamo potuto ricostruirla e probabilmente abbiamo speso più tempo su quella scena che su qualsiasi altra nel film.
70 millimetri
Amo l'esperienza cinematografica dello schermo grande, largo. Sebbene abbiamo più schermi ora, molti di essi sono così piccoli che l'esperienza non è diversa dal guardare qualcosa in televisione. É bello, ma è leggermente al di sotto del rilievo che può dare il cinema. Quando esplorai l'idea del 65mm, (o 70mm, come si vuole dire, è 65mm in negativo) mi sono chiesto "Beh, perché i film che mi ricordo di aver visto in quel formato mi sono sembrati tanto più incisivi?" Mi fu spiegato che la definizione in quel formato era quattro volte maggiore che nel 35mm. Quindi, le cose erano più vivaci, i colori più incisi, il primo piano sembrava più vivo. Mi sembrava tridimensionale, potevi entrare nel film. Volevo usare questo formato negativo per invitare il pubblico ad entrare, in modo più tangibile, per farne anche un'esperienza viscerale, qualcosa che potesse sentire e anche odorare. Cattura in modo particolare la ricchezza di un mondo che stavamo cercando di evocare. Mi piace anche il formato Wide Screen, in cui non avevo mai girato prima. Mi sono sempre incoraggiato a provare diversi stili di ripresa nei film che ho fatto, per sperimentare, e ho girato qualche volta in bianco e nero. Queste riprese difficilmente sono molto originali, ma sono molto interessanti e originali per me. É stato interessante combinare primi piani e Wide Screen insieme. Doveva essere diverso, credo, il 13° adattamento in film di Shakespeare - ci doveva essere un'ottima ragione per farlo di nuovo. Dovevamo offrire qualcosa di molto nuovo ed eccitante, un salto indietro a quando andare al cinema era un evento molto, molto speciale. C'è voluto un po' di più per le luci, per quanto Alex Thompson, che ha fatto un meraviglioso lavoro di illuminazione, è stato probabilmente il più veloce tecnico delle luci che abbia incrociato. E le macchine da ripresa sono più rumorose, il che è un problema quando stai girando un film che dipende per la maggior parte dai dialoghi.
La macchina è in grado di realizzare tecniche di rallenti molto più facilmente, a meno che non stai scorrendo assieme a qualcuno che si sta muovendo. Questo effetto era anche reso più difficoltoso dal pavimento del nostro set principale, che era una scacchiera bianca e nera. Sembrava così in quel momento, spero che non si veda nel film finito, ma quella gente poteva avere una specie di mal di mare quando si muovevano le macchine. Era anche difficile seguire sul monitor. Sono macchine più grandi e più pesanti e difficili da manovrare. É leggermente più difficile per l'operatore - in questo caso un brillante operatore, Martin Kenzie - essere agile quanto lo potrebbe essere con una macchina da 35mm. É tutta una questione di pratica, e immagino che la gente non abbia fatto molta pratica su questo. Sono più abituati alla pubblicità ma meno a questo genere di film. Penso che Cuori Ribelli fosse in parte in 65mm, e Piccolo Buddha anche, ma La Figlia di Ryan fu probabilmente l'ultimo lungometraggio interamente girato in quel formato. Bene, l'ultima cosa da fare è poi di rivedere e controllare la stampa in 70mm; abbiamo tagliato il film in riduzione a 35mm, in copia. Inevitabilmente è diventato molto impuro e non sono i 70mm, così c'è come un salto per me, quando vedo una stampa 70mm.
Recitare Amleto - Essere o non essere
É un ruolo così nudo, richiede così tanto della tua propria personalità. Questo, quando si parla del tuo Amleto, ha a che fare con il trovare quanto più Amleto puoi in te stesso. Siamo tutti Amleto, ci identifichiamo tutti in esso; uomini, donne, bambini. Tutti riconosciamo quel tipo di lotta, per trovare la pace della mente, per sapere che cosa sia essere felici. Tutte quelle cose per le quali nell'ultima parte del ventesimo secolo andiamo dallo psicanalista, o per le quali leggiamo letteratura New Age, oroscopi, o quant'altro. É il segreto. Qual è il segreto della felicità? Il segreto di trovare qualche genere di pace. Ammiriamo la lotta di Amleto, lo affianchiamo in questo, non necessariamente simpatizzando con lui, ma in qualche modo sempre comprendendo. É eroico principalmente perché è così umano; spesso spiacevole, spesso irrazionale, ma sempre coraggioso nel modo in cui lotta con i propri demoni. É l'essere umano più umano che puoi trovare così devi dare al ruolo qualsiasi umanità tu abbia, altrimenti non è interessante. C'è qualcosa del personaggio di Amleto per cui uomini e donne si sono identificati con lui nei secoli. Si confronta con cose molto basilari che tutti noi non abbiamo altra scelta che fronteggiare prima o poi, a cominciare dal dolore. L'idea della perdita, in questo caso di un genitore, e di gestire la tua reazione, e di gestirla in relazione al comportamento di chi rimane, (in questo caso la madre, che si risposa rapidamente), e in relazione a quelle persone che sono colpite da questa reazione (in questo caso Ofelia, la sua amante costretta a rifiutarlo a causa della tensione tra Amleto e i suoi genitori). Tutte queste situazioni penso siano molto conosciute, non c'è bisogno di essere danesi, Shakespeare, accademici o colti in un particolare modo per comprenderle. C'è qualcosa di molto grezzo nel personaggio, e qualcosa di molto coraggioso nel modo in cui non rinuncia a tentare di capire se vale la pena vivere o meno. Secondo me, l'opera e il processo di impersonare quella parte, pongono una domanda in migliaia di modi differenti, "Vale la pena vivere, la condizione umana è soddisfacente?"
L'allestimento
L'opera in se stessa è molto intimista, ha luogo principalmente all'interno dei confini del castello o del palazzo, come abbiamo noi. Mi sembrava una buona strada quella di trasmettere il senso di una vita regale piuttosto di clausura, un mondo in cui fossero ben protetti. Un mondo in cui vivessero autosufficienti, e forse pericolosamente distaccati dal mondo esterno. Questo dava una specie di sensazione di forte claustrofobia alle azioni di Amleto. Sentivo che la gerarchia nell'opera era importante. Era molto chiaro che si dovesse sapere chi fossero il re e la regina e chi fosse Polonio. Mi sembrava che fosse utile fare di Polonio un Primo Ministro e di rendere la corte molto militarmente influenzata per rinforzare il fatto che la guerra era incombente. Volevo dare un segnale di grande splendore, un luogo di grande splendore, un posto in cui potessi comprendere il fascino della nazione. Penso che sia in sintonia con parte dell'interesse di Shakespeare in questo, che era di dare uno sguardo alla vita privata di personaggi molto pubblici. Queste persone potrebbero sbucare dalle pagine di un 'Hello Magazine' del diciannovesimo secolo, se volete. Persone di cui vedreste le foto del matrimonio, e vi domandereste dei loro favolosi appartamenti, ma sufficientemente lontani da noi da accettare che parlino con un linguaggio altisonante. Il nostro è un diciannovesimo secolo immaginario. É un'impressione di diciannovesimo secolo, un'impressione del palazzo in cui per quanto ne so, non troverai una sala. Troverai sale di specchi ma non troverai una sala come quella che abbiamo costruito.
Gli specchi
Non so in realtà perché fossi così preso dall'idea di usare molti specchi. Se ce ne sono molti, parla di una certa quantità di vanità, che sentivo fosse vero per questa corte che Claudio regge (o per l'idea che me ne ero fatto). Riflette anche l'idea di persone che costantemente vengono osservate o che costantemente si osservano. Suppongo, in modo stupido e simbolico, che Amleto attraversi l'opera osservando se stesso, discutendo con se stesso, e volevo che continuasse a vedere molte versioni di sé. É in una sorta di rotazione intellettuale. Non sa affatto dove sta andando, ed è circondato da possibilità. Nel nostro set abbiamo uno specchio e una porta a specchio, ma non puoi dire quale.
In vari momenti Amleto cerca di trovare delle persone ma non sa dietro quale porta siano, proprio questo sembrava lanciare continuamente immagini utili per l'incredibile numero di possibilità per lui e per gli altri personaggi. Guardavano, ammiravano e interrogavano continuamente se stessi. C'è anche qualcosa di pericoloso in questo. C'è sempre la minaccia di rompere uno specchio e sette anni di sfortuna proprio dietro l'angolo. Per quanto belli da avere attorno, per quanta luce riflettano, sono anche piuttosto pericolosi se li rompi. Come per molte di queste cose, fu una decisione istintiva che semplicemente seguimmo. Forse ora sto razionalizzando quella che mi sembra una scelta interessante. Ma comunque la adottammo. Ci sono molte riprese nel film, molte scene, che sono girate in una ripresa ininterrotta. Questa fu una vera sfida, ma è qualcosa a cui sono arrivato in crescendo, penso. La stima era che spesso catturi le persone diverse volte, una piacevole sorta di confusione sulla molteplicità delle immagini. Ma se erano molto vicino ad uno specchio, in qualche strano modo c'era una scena con quattro persone. Era una sfida infernale tecnicamente. Con un film così lungo sentivo che qualcosa doveva progredire tutto il tempo, o per lo meno dovevi avere la possibilità di farlo succedere, con qualcosa di sempre efficace nell'inquadratura. Gli specchi aiutavano in questo, anche se ogni tanto era più che un incubo illuminare e girare.
Lo Scenografo
Tim Harvey, che ne era lo scenografo, ha progettato in tutti gli altri film che ho fatto. Abbiamo un ottimo rapporto adesso poiché abbiamo lavorato insieme per la maggior parte di questi dieci anni. In un primo momento, con gli specchi e tutto il resto, è stato qualcosa del tipo "diamoci la possibilità di farli girare intorno". Diedi a Tim uno schizzo, una pianta del pavimento della sala centrale che volevo, con il numero delle stanze e un'idea del riferimento al piano che volevo. In molti modi gli chiesi qualcosa che mi desse quello che avrebbe dato a Shakespeare una sorta di palcoscenico del Globe, che era una galleria, e una specie di casa circolare. Però, un estremo della galleria diventa un palcoscenico quando ci entrano gli attori, e il teatro è costruito ad un'estremità della sala, il che si avvicina molto all'idea del palcoscenico elisabettiano.
Sento che sia importante con Shakespeare che le immagini abbiano un certo tipo di chiarezza, e si abbia il colore giusto sui muri, l'oggetto giusto, e poi un attore. In questo, il mio interesse è muovere la macchina da presa e rendere la dinamica della scena sia sui movimenti degli attori sia sul movimento della macchina, o su entrambi.
Era anche mia intenzione dare l'impressione di un periodo e di usare qualunque elemento del diciannovesimo secolo potesse essere utile alla nostra storia, ma nulla che potesse creare disordine, che ci confondesse o che facesse pensare che quella fosse la nostra principale area d'interesse.
La prima scena di corte, l'abbiamo svolta in una sorta di atmosfera da apertura di un parlamento di stato. Volevo che ci fosse formalità nel colore; un gruppo di persone in rosso, un gruppo in bianco, un gruppo in giallo. Questo avrebbe fatto capire il tipo di vicinanza al re, che mansioni svolgessero, e naturalmente, differenti colori per i più alti ranghi militari. Lo scenografo sapeva che volevo usare delle carrellate che esplorassero un palazzo labirintico, così unimmo due studi di posa a Shepperton. Due studi molto grandi, con un lungo corridoio così da poter andare dall'appartamento del re o della regina alla sala principale, per finire nella cappella e dare un vero senso della vita regale. Mostrare le persone che si alzano la mattina, con le faccende sbrigate da qualcuno per loro, giornali, programmi messi nelle loro mani mentre camminano, la sensazione di una vita preordinata e viziata. Tutto ciò era riflesso in come era allestito il set. Come sempre, gli ci vollero diversi livelli supplementari, ma in ogni momento lungo la strada, si consultò con me e si fidò di me per realizzarlo come un tutto organico. Alla fine ero assolutamente impressionato dal risultato, e penso che fu un trionfo.
Nota: Il set e la location
Lo scenografo Tim Harvey ha fronteggiato una dura sfida quando ha cominciato a lavorare su "Hamlet". Doveva creare una principesca serie di interni in cinque studi a Shepperton. L'interno principale del Castello di Elsinore fu costruito in tre mesi in due sale di posa separate a Shepperton raccordati da porte di connessione che lo rendevano, con 75 metri di lunghezza, la più grande singola sala di posa in Inghilterra, e ha permesso a Kenneth Branagh la libertà di girare una ripresa continua seguendo i personaggi muovendosi da un'estremità del palazzo all'altra. Una sala ospitava il set più grande, la magnifica State Hall, una stanza rilucente di ori e specchi. Tutte le quattro pareti sono ricoperte con 30 specchi, 15 dei quali sono porte che conducono ad altre aree del castello. Per facilitare le riprese, Tim ha montato tutti gli specchi su cerniere, basculanti sia verticalmente che orizzontalmente, così da poter essere aggiustati per permettere di evitare il riflesso della macchina da presa e della troupe durante le riprese. Per l'esterno del castello, Ken e Tim hanno scelto uno dei più bei manieri Inglesi, Blenheim Castle nell'Oxfordshire. Una squadra di 45 persone ha lavorato per coprire di neve un totale di 180 acri di terreno. Hanno utilizzato 200 tonnellate di neve artificiale per le due settimane in cui la produzione ha girato lì.
Il testo
Hugh Crutwell era il responsabile della Royal Academy of Dramatic Art quando c'ero io. Assistette alla mia audizione di Amleto quando avevo 17 anni e mi vide recitarlo a 20. É qualcuno che ha fatto parte della mia vita da allora, ed è un uomo molto articolato ed erudito, che fornisce note di recitazione di grande lucidità che liberano l'immaginazione. Guardo a lui come a una rete di protezione, spesso qualcosa di più, ma una protezione determinante quando, nel gorgo della grande responsabilità, trovo difficile sia ricordare quello che pensavo di fare, sia trovare la spontaneità ogni giorno. Allora lui dirà spesso qualcosa all'ultimo minuto che mi ricorda i semplici principi di un discorso, o il semplice pensiero o la domanda che stavi per fare. Talvolta se ne uscirà con una frase che ti rammenta la verità di qualcosa, che potresti aver perso nel grande processo del montaggio di una scena in una giornata di riprese particolarmente complicata.
Russell Jackson è Professore allo Shakespeare Institute di Stratford. Lo incontrai per la prima volta quando ero con la Royal Shakespeare Company a Stratford nel 1984, ed ebbi varie conversazioni con lui. Procedevamo molto bene e mi piaceva la sua conoscenza delle idee contemporanee sottintese in alcuni passaggi del lavoro di Shakespeare. Per esempio, in Amleto sarebbe capace di metterti al corrente di alcuni retroscena del brano che allude ai ragazzi attori. Era molto bravo a compilare informazioni storiche sul dibattito che infuriava ai tempi di Shakespeare riguardo a ragazzi che rilevavano i ruoli delle compagnie di recitazione consolidate, e modernità dei loro allestimenti per la plebe. Russell fornisce quella specie di base tecnica che ci fa sentire che abbiamo fatto tutto quello che potevamo per comprenderne assolutamente il senso, il significato letterario di ogni frase, così come il valore poetico ed alcuni meccanismi ritmici che Shakespeare usa. Non importa quante volte spieghi le cose durante le prove, spesso non è possibile ottenere più che la sensazione, l'essenza, il potere della passione di un personaggio. Questo va abbastanza bene la maggior parte delle volte. Russell è una specie di riferimento letterario umano. Usiamo il testo completo di quest'opera. Qualcuno lo chiama l'Amleto 'completo'. La discussione infuria su che cosa costituisca l'Amleto integrale e che cosa intendesse Shakespeare, ma questo è il testo più completo. La mia esperienza di recitazione dell'opera in teatro è che essa è l'unica che da al pubblico la più grande opportunità di sperimentare la versione completa. Quando tagli l'opera per il teatro, ciò che succede spesso è che comprimi una gran quantità di brani molto intensi, e diventa intollerabile da guardare. Semplicemente tralasci di includere alcune cose perché hai bisogno di fiato. Nel testo completo penso che Shakespeare ti dia una visione che non è al massimo grado di emozione, in cui molte delle scene sono, per esempio, tra Polonio e Rinaldo. C'è una scena molto interessante in questa versione, recitata da Richard Briers (Polonio) e Gerard Depardieu (Rinaldo). Ci mostra Polonio che, avendo mandato Laerte in Francia con questa sentita ingiunzione di essere sincero verso sé stesso e leale verso gli altri, allora manda Rinaldo non solo a spiarlo ma a provocare chi conosce Laerte a gettare fango su di lui. Mi sembra una visione interessante di una mentalità politica e della mentalità complessa di un padre che non è chi sembra. D'altro canto egli appare molto affettuoso e preoccupato verso i propri figli, ma allo stesso tempo piuttosto calcolatore e iperprotettivo. Penso che una scena come questa permetta di ricollegarsi alla estrema passione e al trauma della scena dello spirito, che precede, e ti prepari alla scena che segue: Ofelia che va a incontrare Polonio, dopo essere stata visitata da un Amleto ora fuori di sé. Trovo più facile il processo di recitare Amleto nella versione completa piuttosto che in quella ridotta. Penso che nella versione integrale ci sia una connessione più forte tra la storia personale di una famiglia disfunzionale, se vuoi, e l'impatto che ha sulla nazione. É più facile capire che molti dei problemi dell'opera potrebbero essere risolti da una bella chiacchierata tra Amleto e sua madre, per esempio, in cui essa potesse spiegare perché abbia preso in considerazione lo zio così presto dopo la morte del marito. C'è un interruzione nella comunicazione che è molto facile per noi capire. Chiunque abbia una famiglia ci si può collegare. Questo è più chiaro nella versione completa, così come lo è l'impatto dei problemi della famiglia sulla nazione intera. Volevo spiegare questa dimensione epica che la versione integrale ci fornisce.
Nota: intervista a Russell Jackson
Sono consulente del testo per il film, il che è qualcosa di cui la maggior parte dei film non ha bisogno. Siccome si faceva Shakespeare e Kenneth vi recitava oltre a dirigere, è utile per lui avere un impianto di supporto. Io sono parte di questo. Il mio lavoro è di aiutare gli attori a lavorare con il testo per risolvere qualsiasi problema sorga, specialmente durante le prove, e mentre si gira. Alcuni di questi problemi hanno veramente a che fare pure con la recitazione. Non si può separare il testo dalla recitazione. Non c'è una mera separazione, così è un problema di consultazione. Usando il testo completo, non ci si può prendere alcuna libertà dal punto di vista di omissione di versi o di temi. Molti film, versioni televisive o teatrali di qualunque opera Shakespeariana, in particolare le più lunghe: Amleto, Re Lear, Riccardo III, tagliano liberamente. Noi non possiamo. Ci siamo detti: "Stiamo usando il testo integrale. Faremo i pezzi di Amleto cui normalmente non si arriva". Non possiamo dire, nel corso di una scena, "Credo che questo verso non funzioni". Quando il montatore lavora sul film, non ha la possibilità di rimuovere una scena se non ha qualche altra copertura per il dialogo. Così c'è una limitazione interessante, qui. Significa che il tempo del film non può essere manipolato molto in montaggio così come succederebbe per esempio in altri film di Shakespeare in cui si dice "Non sarebbe meglio perdere metà di questa scena e andiamo direttamente qua o là". Una delle ragioni di fare film, tipo film su vasta scala di Shakespeare, e che ti permette di usare quello che è un materiale molto forte, emozionale e narrativo, di usare personaggio e trama molto ben costruiti. Questo da una portata un po' più ampia - considerevolmente più ampia che in teatro. Ci sono dimensioni dell'opera cui il cinema permette di respirare. Si può creare la Danimarca, se si vuole. Devo continuamente far presente questo a me stesso, perché ho passato la mia vita lavorando su Shakespeare. Mi ricordo che per molta gente può arrivare addirittura a sembrare un linguaggio straniero. Devo pensare ai tempi della scuola, quando incontrai Shakespeare per la prima volta, ed era più che altro come leggere in una lingua straniera, e allora non cercavo di capire ogni parola, ma ne ascoltavo il fluire. Mi lasciavo trasportare. Capire che cosa dicono le persone cresce con la comprensione della situazione. Quello che secondo me rende Amleto così eccitante è la mistura di elementi che si focalizzano sul personaggio principale, che in molti rapporti è il meglio che la Danimarca può sperare. Ma Amleto è qualcuno che è un intellettuale ma deve virtualmente diventare un terrorista a corte, o per lo meno un guerrigliero. É un uomo che ama in grande misura, è tradito in grande misura e finisce col tradire questo amore. Amleto mette anche a rischio la sua anima. Se si è interessati alla religione, Amleto è un'opera spaventosa da quel punto di vista. Almeno due persone nell'opera, che sono apparentemente simpatetiche, sono in pericolo di perdere le loro anime. É anche un'opera in cui c'è una tragica storia d'amore, in cui Amleto distrugge la donna che ama. É anche un uomo che è coinvolto in un complotto che distrugge sua madre, una madre che ama. Così tutto quello che c'è intorno ad Amleto cade nella desolazione, se non direttamente a causa di Amleto, comunque in un modo che ha a che fare con lui. (...)
Ciò che si spera che un pubblico moderno riceva dal nostro film è una eccitante storia di amore e tradimento. É un film d'azione e poesia. Possiamo solo sperare che attragga il pubblico, che altrimenti non potrebbe ritrovarsi a vedere Amleto. Una cosa che i film di Shakespeare possono fare al cinema è estendere il raggio di quello che il pubblico che va al cinema guarda e accetta. Non si converte la gente a qualche tipo di religione chiamata Shakespeare. Quello che si fa è dire "Guarda, puoi sfruttare anche questo".